TRA ENTUSIASMI E SCETTICISMI
SULL'ADRIA L'OMBRA LUNGA DEL GRANDE FRATELLO
Quale Croazia in Europa?


  Con il recente ingresso della Croazia nell'Unione Europea torna alla memoria quanto Giuseppe Giusti, tra satira e commozione, illustrava più di un secolo e mezzo addietro nella celebre poesia "Sant'Ambrogio", in cui l'autore narra di un fatto accadutogli realmente nella basilica milanese, quando si trovò in mezzo ad un gruppo di soldati austriaci, allora di stanza nel Lombardo-veneto. Ad un primo sentimento di avversione subentra un senso di comprensione e commozione per quei soldati, lontani dalla loro patria e dai loro affetti,ridotti a strumenti di sopraffazione.


SANT'AMBROGIO.


Vostra Eccellenza che mi sta in cagnesco
Per que' pochi scherzucci di dozzina,
E mi gabella per anti-tedesco
Perché metto le birbe alla berlina,
O senta il caso avvenuto di fresco,
A me che girellando una mattina,
Capito in Sant'Ambrogio di Milano,
In quello vecchio, là, fuori di mano.

M'era compagno il figlio giovinetto
D'un di que' capi un po' pericolosi,
Di quel tal Sandro, autor d'un Romanzetto
Ove si tratta di Promessi Sposi......
Che fa il nesci, Eccellenza? o non l'ha letto?
Ah, intendo: il suo cervel, Dio lo riposi,
In tutt'altre faccende affaccendato,
A questa roba è morto e sotterrato.

Entro, e ti trovo un pieno di soldati,
Di que' soldati settentrïonali,
Come sarebbe Boemi e Croati,
Messi qui nella vigna a far da pali:
Difatto, se ne stavano impalati,
Come sogliono in faccia a' Generali,
Co' baffi di capecchio e con que' musi,
Davanti a Dio diritti come fusi.

Mi tenni indietro; ché piovuto in mezzo
Di quella maramaglia, io non lo nego
D'aver provato un senso di ribrezzo
Che lei non prova in grazia dell'impiego.
Sentiva un'afa, un alito di lezzo;
Scusi, Eccellenza, mi parean di sego,
In quella bella casa del Signore,
Fin le candele dell'altar maggiore.

Ma in quella che s'appresta il Sacerdote
A consacrar la mistica vivanda,
Di subita dolcezza mi percuote
Su, di verso l'altare, un suon di banda.
Dalle trombe di guerra uscian le note
Come di voce che si raccomanda,
D'una gente che gema in duri stenti
E de' perduti beni si rammenti.

Era un coro del Verdi; il coro a Dio
Là de' Lombardi miseri assetati;
Quello: O Signore, dal tetto natio,
Che tanti petti ha scossi e inebriati.
Qui cominciai a non esser più io;
E come se que' côsi doventati
Fossero gente della nostra gente,
Entrai nel branco involontariamente.

Che vuol ella, Eccellenza, il pezzo è bello,
Poi nostro, e poi suonato come va;
E coll'arte di mezzo, e col cervello
Dato all'arte, l'ubbíe si buttan là.
Ma cessato che fu, dentro, bel bello
Io ritornava a star, come la sa;
Quand'eccoti, per farmi un altro tiro,
Da quelle bocche che parean di ghiro,

Un cantico tedesco lento lento
Per l'äer sacro a Dio mosse le penne:
Era preghiera, e mi parea lamento,
D'un suono grave, flebile, solenne,
Tal che sempre nell'anima lo sento:
E mi stupisco che in quelle cotenne,
In que' fantocci esotici di legno,
Potesse l'armonia fino a quel segno.

Sentía nell'inno la dolcezza amara
De' canti uditi da fanciullo: il core
Che da voce domestica gl'impara,
Ce li ripete i giorni del dolore:
Un pensier mesto della madre cara,
Un desiderio di pace e d'amore,
Uno sgomento di lontano esilio,
Che mi faceva andare in visibilio.

E quando tacque, mi lasciò pensoso
Di pensieri più forti e più soavi.
Costor, dicea tra me, Re pauroso
Degl'italici moti e degli slavi,
Strappa a' lor tetti, e qua senza riposo
Schiavi gli spinge per tenerci schiavi;
Gli spinge di Croazia e di Boemme,
Come mandre a svernar nelle Maremme.

A dura vita, a dura disciplina,
Muti, derisi, solitari stanno,
Strumenti ciechi d'occhiuta rapina
Che lor non tocca e che forse non sanno:
E quest'odio, che mai non avvicina
Il popolo lombardo all'alemanno,
Giova a chi regna dividendo, e teme
Popoli avversi affratellati insieme.

Povera gente! lontana da' suoi,
In un paese qui che le vuol male,
Chi sa che in fondo all'anima po' poi
Non mandi a quel paese il principale!
Gioco che l'hanno in tasca come noi. —
Qui, se non fuggo, abbraccio un Caporale,
Colla su' brava mazza di nocciolo,
Duro e piantato lì come un piolo.


  Il canto di quei soldati,pieno di nostalgia,commuove il poeta e ci fa intravedere come l'odio tra i popoli è un sentimento troppe volte indotto da chi detiene il potere per meri fini di conquista. E rieccoci ai giorni nostri. Il 1º luglio 2013 vede, come si diceva, l'ingresso della Croazia nell'U.E.. E mentre da più parti si plaude all'evento con dovizia di luminarie, al lettore più attento e conoscitore della storia, in un'unione Europea a forte egemonia tedesca non può non venire alla mente l'intensa azione di propaganda condotta a proprio favore dalla Germania a detrimento dell'allora alleata Italia nella Croazia dichiaratasi indipendente nel 1941 dal regno jugoslavo, tanto quanto il ruolo determinante dei contingenti militari croati nell'Austria post-napoleonica, tutta proiettata verso una concezione di se stessa diametralmente opposta a quella che vide emergere un secolo prima le grandi figure di Maria Teresa o, prima ancora, di Eugenio di Savoia. Quella ottocentesca è un'Austria fortemente intrisa di illuminismo in abito clericale nonché legata ad una visione fortemente germanico-occidentale della politica dalla stessa figura del cancelliere Metternich, egli stesso tedesco di Coblenza e quindi non austriaco. Del resto non mancano voci secondo le quali la dichiarazione di indipendenza sia slovena che croata del 1991 sarebbe stata salutata dal "grande fratello" tedesco come l'occasione per riproporsi come potenza egemone soprattutto economica nell'area, col rischio di farne una ganascia di strangolamento da est soprattutto per l'Italia, e facendo ancora una volta dell'Adriatico un luogo di contrasto tra le proprie stesse genti in virtù di interessi ad esso esterni.
  Come paese che si affaccia su questo mare per più di novecento chilometri, la Croazia è chiamata anch'essa in prima linea a condividerne i secolari valori che lo eleggono a fulcro di una patria più grande. Esso non può rinascere se non per volontà adriatica e da suolo adriatico, vegliando a che nessuna potenza esterna abbia ad usare le sue genti una contro l'altra per interessi loro estranei. E ritorna così chiaro e forte il monito del Giusti, affinché i popoli in cerca di riscatto non abbiano ad offrirsi a chi promette loro un giorno di gloria non per il loro bene quanto per farne degli strumenti più o meno inconsapevoli contro l'avversario scomodo del momento: il tutto con le conseguenze che la storia e l'attualità non cessano di testimoniarci.  (G.L. Ugo)


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