VERSO UN "CONVIVIO MONDIALE ITALICO"?
UNA POLITICA MONDIALE PER L'ITALIANO
«LA LINGUA È IL FONDAMENTO DELL’IDENTITÀ DEI POPOLI»


Lo aveva affermato Gianni Letta, a suo tempo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e in qualità di vicepresidente della Società Dante Alighieri a conclusione del 79º congresso della stessa. Oltre alle diverse iniziative in cantiere, era stata ribadita la buona tenuta dell'italiano tra le lingue studiate nel mondo, con particolare riferimento all'Est europeo, in cui la lingua di Dante avrebbe da tempo aggiunto al proprio ruolo di lingua di cultura quello di lingua di lavoro, grazie all'intensa attività di imprenditori anche medio-piccoli presenti a migliaia in quell'area del Vecchio Continente.
  Le preoccupazioni vengono piuttosto dall'italia, ove una scarsa consapevolezza del valore non solo culturale ma anche politico della lingua continua a penalizzare l'italofonia su scala mondiale anziché farne strumento privilegiato di coesione tra i milioni di discendenti di Italiani nei cinque continenti.
  A lungo infatti sottovalutata dai patrî palazzi del Secondo Dopoguerra, la causa degli Italiani nel mondo trae origine da quando, a cavallo tra Otto- e Novecento, migliaia di emigranti italiani iniziano a varcare gli oceani in cerca di fortuna, quasi certamente non pensando, in quei momenti di magra, che così facendo, vanno a porre le basi di una futura grande italicità mondiale.
  Nel tentativo di fare da tramite tra questi ultimi e laMadre Patria, nasce nel 1889 la Società "Dante Alighieri", la quale, con il proposito di ridare fiato alla lingua e alla cultura italiane nel mondo, è in quel particolare momento egualmente attenta ai cittadini delle regioni tradizionalmente italiane ma non incluse nel Regno d'Italia. Cent'anni esatti dopo la "Dante" nasceva, ad opera dell'avvocato bergamasco Mirko tremaglia, il Consiglio Generale degli Italiani all'Estero (C.G.I.E.), principale organo consulente del Governo e del Parlamento sui grandi temi di interesse per gli italiani nel mondo, preposto a dar voce ad una comunità di 4-5 milioni di cittadini italiani e di almeno una sessantina di milioni di così detti "oriundi", cittadini stranieri discendenti da Italiani, sparsi nei cinque continenti.
  A portare la questione alla ribalta era poi stata in quegli anni la crisi economica argentina, con migliaia di oriundi intenti ad acquisire la cittadinanza italiana alla ricerca di una sistemazione nella terra dei loro avi.   Con la caduta dei blocchi, dopo decennî di forzato silenzio,  tornavano a farsi sentire le collettività italiche di Romania e della Croazia interna, discendenti da Italiani colà emigrati tra il XVIII e il XIX secolo, tra i quali un certo signor Broz, originario del Trentino, nonno di un tal Josip Broz che le vicende jugoslave della Seconda Guerra Mondiale ed una lunga carriera politica a capo della Jugoslavia socialista dovevano portare alla ribalta con il nome di Tito, anch'egli, dunque un po' italico.
  Il nuovo corso storico poneva nuovi problemi ma con essi anche nuove opportunità. Bisognava, per esempio, rinvigorire il prestigio dell'italiano all'estero, vieppiù relegato al lumicino quale lingua d'accademia e per buongustai.
  Un primo banco di prova era quello del 1990, quando il ministro dell'educazione federale australiano decideva di sospendere i finanziamenti ai corsi di italiano a favore, oltre che delle lingue asiatiche, del francese e del tedesco. Un gruppo di deputati federali di origine italiana si opponeva con forza al provvedimento invitando il ministro a "rientrare sui proprî passi se non si volevano ripercussioni per il paese ad opera di una componente etnica italica forte del proprio potere economico, seconda per popolazione a quella britannico-irlandese.   Nell'Eritrea indipendente caffè e ristoranti tornavano dopo anni a sfoggiare i vecchî nomi storici nell'idioma di Dante. Ma il fatto più rilevante avveniva nel marzo del 1996, quando alcuni stati del Brasile meridionale popolati a maggioranza da Italici, soprattutto veneti, decidevano di incamminarsi verso l’inserimento massiccio dell'italiano nelle locali scuole, mentre v'era chi proponeva l'estensione del provvedimento all'intero paese. A fare da sfondo erano  cospicui investimenti italiani nella regione, come in tutto il Sud-America, nei settori più disparati, dall'industria alimentare alle telecomunicazioni, con le nuove infrastrutture di collegamento telefonico gestite da aziende italiane o loro controllate locali.
  La massiccia presenza di Italiani e loro discendenti in Sud-America faceva sì che, nel 2001, anche in Venezuela avesse inizio un processo analogo a quello del Sud del Brasile, mentre nel maggio 2002 si richiedeva formalmente l'affiancamento dell'italiano allo spagnolo in Argentina.
  Ma l'idioma di Dante entrava, nel 2005, anche in cinquecento scuole degli Stati Uniti, per dare agli studenti la possibilità di sostenere un esame di lingua italiana utile per ll'ottenimento di crediti presso le stesse università americane.
  Ai vecchî irredentismi subalpini venivano in tal modo ad affiancarsi i presupposti per un irredentismo globale che, forte di una così massiccia presenza e di comunicazioni più rapide, intendeva mirare alla pacifica riconquista linguistico-culturale delle collettività italiche nel mondo, per farne una forza capace di un proprio peso sulla scena internazionale.
  Ma tutto questo non basta se a ciò non fa séguito un progetto politico ben preciso che miri apertamente a dare a tutta questa realtà una veste ufficiale,attraverso organi transnazionali capaci di rappresentarla nelle sedi appropriate. "Carmina non dant panem", suona un proverbio latino. Fare accademia non basta: finiamo col parlarci addosso mentre gli altri tacciono e agiscono. Il tutto mentre migliaia di piccole e medie imprese italiane, indotte dalla situazione politica nostrana a trasferirsi in altri paesi, potrebbero paradossalmente divenire ambasciatrici della nostra cultura e, perché no, anche della nostra lingua. Starebbe già accadendo all'Est, dove, Mentre i grandi colossi dell'economia multinazionale investono senza però divenire parte del tessuto locale, così non accade per le migliaia di nostri imprenditori, i quali colà vanno a risiedere, spesso anche con famiglia al séguito, tanto che, per far fronte alla scolarizzazione della loro prole, sono sorte qua e là sezioni in lingua italiana dei locali istituti scolastici, sezioni regolarmente frequentate anche da alunni del posto, favorendo così una diffusione della nostra lingua già tra i ragazzi.
  Gli esempî sarebbero molteplici; quello che però è importante è decidere cosa fare prima che il ferro si raffreddi e divenga difficile batterlo. Occorre dunque iniziare un lavoro serio che coinvolga non soltanto il mondo accademico, troppo spesso ritorto su se stesso ed incapace di quel dinamismo che i moderni scenarî della politica impongono. Va certamente bene organizzare dibattiti nonché qualche evento importante in cui l'argomento venga discusso da esperti dei diversi settori della vita pubblica, purché però da esso sortisca ben chiaro un ordine del giorno sui successivi passi da compiere nell'immediato séguito, affinché l'abitudine di parlarsi addosso non continui a prevalere sul concreto operare. Obiettivo di tutto ciò dovrà essere la creazione di un organismo mondiale panitalico presieduto e formato da personaggi di indubbio spessore capaci di tenere alte le istanze della nostra realtà culturale e linguistica in seno alle organizzazioni internazionali e sovranazionali attorno alle quali gravita il panorama economico e politico mondiale.
Gianluigi Ugo


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