Da popolare ad elittaria
LA CRISI DELLA SINISTRA ITALIANA
Mezzo secolo e più all'insegna della "sindrome da tutela"
La sinistra italiana, che annovera nelle proprie file personaggi della cultura, del pensiero giuridico e sindacale, conosce la propria epopea negli anni difficili della contestazione, quando le diverse categorie sociali (studenti, lavoratori, ecc.) vedevano nelle frange più progressiste della politica la migliore garanzia di appoggio alle proprie rivendicazioni.
L'ulteriore svolta a sinistra degli anni ‘70 non portava
però a quel progresso nel rapporto tra cittadino e Istituzioni che era forse nelle attese dell’elettorato sostenitore; al contrario, forte delle idee “progressiste” di cui ora poteva fregiarsi e con esse giustificare il proprio operato, il potere politico tendeva sempre più ad irrigidirsi ed a voler figurare quale unico garante o, meglio ancora, padrone del benessere collettivo controllando tutto dall’alto mediante una progressiva pressione burocratica e fiscale che era andata a colpire gli elementi più creativi del Paese, e che trova sfogo in un’azione vessatoria verso piccole imprese e piccoli esercizî assillati da tasse e incombenze burocratiche (non di rado targate Europa), finanche a soccombere a tutto vantaggio dei grandi colossi e della grande distribuzione, certamente più europei e meglio rispondenti ad esigenze
di omologazione globale: il tutto mentre nuovi privilegi e lauti stipendî giungevano a consolidare ulteriormente
l’aura di intoccabilità di cui era venuto circondandosi quello che, con il termine di “didascalocrazia”, può definirsi come il governo dei professori che, sostituitisi ai nobili di regia memoria, guidano dall’alto delle proprie cattedre sessanta e più milioni di perenni exallievi.
Forgiati da anni di studî presso atenei per lo più americani o britannici quali Harvard o la London School of Economy, diversi tra quei politici portano in sé i retaggi di un pensiero che non è quello del paese che li ha eletti. La loro visione della politica e soprattutto dell’economia,
fatta di grandi numeri e di riunioni al vertice, mal si concilia, per esempio, con le aspettative della miriade di imprese italiane, specie medio piccole, in cui gli affari che contano spesso si definiscono in trattoria. È l’Italia semplice e laboriosa cui questi stranieri di fatto sembrano guardare con bonaria
sufficienza in nome del mercato globale e dell’economia di carta. E mentre pontificano sui mali del Paese indossando il doppio petto dinanzi ai loro colleghi
occidentali, essi trovano il modo di conservare la propria posizione di dominio verso gli elettori, mantenendoli in uno stato di permanente impotenza dinanzi
ai capricci dell’apparato istituzionale.
Man mano però che si fa più pressante il bisogno di riorganizzazione e snellimento della pubblica amministrazione, così come una radicale reinfrastrutturazione del paese nel settore energetico o dei trasporti, ecco i governi di sinistra brancolare nel buio. C'è bisogno di tecnici, di persone competenti e motivate; ma questi sono per lo più legati al mondo dell'impresa e perciò non sempre riconducibili all'area di sinistra. Se ne fan forti gli avversarî che abbandonano il linguaggio forbito ed accademico ormai di altri tempi per uno ritenuto più simile a quello di chi, stanco di vecchiume cattedratico, finisce a torto o a ragione col premiare chi, quand'anche tra un processo e un'esternazione forse un po' grossolana, profonde nella gente una forte carica di motivazione a fare.
Non meno negativo rimane il ricordo dei Verdi, vale
a dire il partito del "No". "No TAV", "No" al ponte sullo Stretto, "No" a questo e a quello: è quanto ci rimane come eredità di quella che si vuol far passare come lotta per l'ambiente, i cui effetti sono le autostrade sature di mezzi pesanti e le ferrovie al massimo dell'incompetitività.
Supportati da circoli di potere per lo più occidentali, gli ecologisti italiani sono stati il retaggio di una sinistra stile anni '70-'80, piuttosto benestante, anglosassone nei termini
e dalle paranoie da salotto proletario, degna aguzzina per conto del globalitarismo incalzante, contro il quale l'Italia del lavoro e della gente per bene cerca una via di riscatto nella speranza, forse, di divenire finalmente l'Italia che conta. (G.L. Ugo
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