Europa, burocrazia e dintorni
ALLA CONQUISTA D'ITALIA
Guerra aperta ad artigiani e P.M.I.


  Spesso ci lamentiamo delle manchevolezze della vita politica e civile italiana nella convinzione di essere con ciò causa di disagio per gli altri paesi solitamente presi a modello, i quali, è vero, ci criticano, ma sembrerebbero non agognare così tanto ad un'Italia che volesse andare oltre al solito copione da caricatura.
La storia insegna, per esempio, che Napoleone III appoggiò il Regno di Sardegna nella II Guerra di Indipendenza, ma fu pronto a mettersi con l'Austria del dopo-Metternich per ostacolare le annessioni piemontesi in Italia Centrale. Il trattato di Versailles del 1919 non segnò certo l'inizio di un rapporto idilliaco tra Italia e Intesa, benché entrambe fossero tra i vincitori del I conflitto mondiale, tant'è che la futura ascesa della potenza militare tedesca negli anni '30 non preoccuperà gli Occidentali quanto l'influenza italiana su buona parte dell'Europa Orientale, i cui paesi orientavano le proprie scelte sociali ispirandosi vieppiù a quanto, malgrado le numerose luci ed ombre, si andava compiendo in quell'epoca in Italia: Nondimeno deve aver preoccupato i paesi vincitori la ricostruzione italiana l'indomani del II conflitto mondiale, percepita forse come troppo rapida per un'Italia uscita sconfitta dalla guerra ed ora anche con qualche velleità di sganciarsi ove possibile dall'ortodossia atlantica (caso Mattei).
  Vero è che, forte di un'eredità storica quasi trimillenaria, al centro del Mediterraneo, l'Italia costituisce da sempre un collegamento naturale tra tre importanti aree, quali l'Europa, l'Asia Minore e il Nord-Africa.
L'italiano è lingua di riferimento culturale sin dal rinascimento e per tutto il XVIII secolo sia in Europa che in importanti aree del Mediterraneo. A Vienna esso è la lingua della controriforma e del barocco. Lo parla gran parte della Corte, nonché, spesso e volentieri, vi si esprime lo stesso Imperatore nei suoi rapporti diplomatici, e le maggiori famiglie hanno tutte un segretario italiano, giacché, sebbene la conoscenza del tedesco, lingua autoctona, risulti utile in talune funzioni, gli affari più importanti si svolgono nella lingua di Dante. Questa, oltre ad essere la lingua di cultura per eccellenza, e, lingua di ordinaria comunicazione con l'area balcanica e ottomana, tanto che l'amministrazione d'Egitto vi fa ordinariamente riferimento sino al 1870.
  Tornando ai giorni nostri, a creare i presupposti per una nuova ondata italofoba in Europa sembrano essere i fatti del 1989.
  L'apertura dei mercati all'Est vede la penetrazione in massa di piccoli imprenditori italiani gran parte dei quali vi si stabiliscono anche, contribuendo così ad una presenza italiana anche sul piano umano nonché linguistico e ridestando così il ricordo degli antichi legami di quelle terre con la cultura della Penisola. Nel contempo, il governo Craxi, attraverso il proprio ministro degli Esteri, Gianni De Michelis, avvia una serie di contatti con i paesi del Centro-Europa, che daranno vita all'Iniziativa prima Quadrilateralee tra Italia, Austria, Ungheria, e Jugoslavia, poi Pentagonale con l'ingresso della Cecoslovacchia, quindi Esagonale con l'entrata della Polonia nel 1991. "L'Italia ha vocazione centro-europea", dichiara lo stesso ministro De Michelis in un dispaccio dell'agenzia ADNKRONOS del 15 maggio 1991.
  Il tutto dà l'impressione di cogliere in contropiede l'occidente europeo e soprattutto la Germania, che sogna un nuovo "Drang nach Osten" per instaurarvi una sorta di "IV Reich" economico, e dove i piccoli italiani hanno invece avuto l'ardire di scendere in campo e di concorrere con le realtà più blasonate della politica e dell'economia internazionale. Puntuali arriveranno la guerra in Jugoslavia e la caduta del governo Craxi con "Tangentopoli"...
  Nondimeno, l'avvento nel 2001 del II Governo Berlusconi, notoriamente sostenuto dalle piccole e medie imprese, darà modo a Bruxelles e compagni di far leva sulle debolezze e sui guai giudiziarî del Cavaliere paragonandolo persino all'allora governatore populista della Carinzia, Jörg Haider, nella speranza, probabilmente, di gettare ulteriore discredito sull'Italia e di scongiurarne con ciò un eventuale maggior peso nel panorama europeo e non solo, in quanto ciò appare inconcepibile in un Occidente arrogante e pieno di se stesso, legato ad un concetto economico prevalentemente finanziario e macroaziendale, quasi in una sorta di convinzione che se uno è piccolo non può che restare piccolo, e se cresce c'è qualcosa che non quadra.
  Berlusconi, che all'inizio della propria attività non era certo tra i rampolli dell'industria o della finanza, appare sgradito in Europa non tanto per le irregolarità di percorso ascrittegli nella propria crescita di imprenditore, ma per il fatto stesso (foss'anche stato nel modo più onesto) di aver raggiunto determinati traguardi, malgrado il proprio stato sociale iniziale.
  Del resto, proprio nella Germania occidentale, sono nati i principali fautori più o meno diretti del Nuovo Ordine Mondiale, come i Rotschield, padri dell'alta finanza, propugnatrice del così detto "pensiero unico globale", tanto quanto erano originarî di quelle parti, Marx ed Engels, padri del pensiero comunista, il che dimostra a chiare lettere come l'Occidente europeo miri fondamentalmente a concepire in sé una società fortemente omologata e chiusa all'individualità specie dal basso, il tutto sia in un ambito capitalista od eventualmente comunista: cambia solo la forma giuridica, di diritto privato nel primo caso o di diritto pubblico nel secondo.
  Tutto questo stride apertamente con il panorama identitario dell'Italia, paese di campanili e di famiglie, molte delle quali embrioni di piccole/medie imprese. Volervi imporre ad ogni costo un tipo di società come quelle dell'Europa occidentale, è un'emerita forzatura atta a farvi emergere gli aspetti ed i personaggi della politica meno qualificati, capaci tutt'al più di dare addosso, magari con nordica osservanza, apiccoli e medî imprenditori mediante ogni sorta di accanimenti burocratici e fiscali quali mezzi ottimali per renderne difficile l'attività sino a farli soccombere, liberando in tal modo il terreno a nuove forze conquistatrici e colonizzatrici dell'attività economica della Penisola. (G.L. Ugo)


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