Il futuro in azienda
TRA CRESCITA PERSONALE E PRODUTTIVITÀ
Il mondo della formazione si interroga
L'idea di un progresso tecnologico elevato ad una sorta di bene supremo può tranquillamente definirsi come l'eresia dei tempi moderni, attorno alla quale tutto ruota in subordine, creando nuovi stili di vita sempre più allienanti in una sorta di paganesimo tecnologico in cui i sistemi di intelligenza artificiale, ritenuti in grado di imparare e di prospettare nuove forme di vita sinanche sfuggendo al controllo dell'uomo, divengono i nuovi idoli, ossia entità sensienti in un mondo tutto formule e numeri, avulso da ogni dimensione umana.
In questo mondo sempre piuù astrale non c'è più spazio per tutto ciò che può definirsi come cultura, relegata ormai ad inutile orpello, inefficace ai fini di un benessere di fatto sterile ed illusorio. Siamo circondati sempre più da ruoli e sempre meno da persone. pacifisti, vegetariani, animalisti, vegani ed ecologisti hanno preso il posto di nomi e cognomi: uno stuolo di "cavalieri inesistenti" che, come nel romanzo di Calvino, si muove in altrettante armature al cui interno v'è in realtà nessuno.
E accade così nelle aziende, ove continuiamo a formare ruoli ed apparati, mentre trascuriamo di formare gli individui, senza i quali i ruoli vanno a farsi benedire. Non si possono creare i ruoli se prima non si sono formate le persone con la propria identità ed il proprio retroterra culturale, attraverso i quali esse esprimono le proprie competenze nell'ambito del proprio lavoro: ed è questo che il mondo della formazione deve capire anziché sfornare fiumi di parole su argomenti pieni di lessico prima che di concetti di reale valore. Prima di confrontarci con gli altri dobbiamo sapere chi siamo noi.
Scriveva più o meno un secolo e mezzo fa lo storico tedesco Heinrich von Sybel:
«Una nazione che non conservi il vincolo tra i suoi membri viventi ed i loro antenati è prossima a scomparire, così come intristisce l'albero cui sono state tagliate le radici.»
Accade oggi in Italia, ove, nel nome di un malinteso concetto di innovazione, si van sempre più tagliando le radici che ci legano alla grande tradizione in cui il culto del rapporto diretto tra le persone unito al genio ed all'operosità nostrana hanno forgiato uomini come Olivetti, così come Ferrero, Zanussi e tanti altri tra coloro che hanno fatto grande l'impresa italiana nel mondo: un'impresa fortemente all'insegna del profondo senso di identità dei rispettivi fondatori.
con una tradizione fatta di concetti semplici e chiari, capace di fare dell'azienda una sorta di seconda famiglia,, fatta di senso di appartenenza e di motivazione a fare meglio, lungi da teoremi "anglo-bocconiani", paraventi di un sempre maggiore vuoto mascherato da termini altisonanti per rampolli in cerca di carriera, spesso meri burocrati di diritto privato (per distinguerli da quelli di stato) con il marchio di qualche multinazionale, tanto convinti di essere i testimoni dell'innovazione quanto in realtà essi sono il simbolo di un'autentica tecnoparanoia fatta di un digitalismo fuorviante per cui li vediamo comunicare tramite posta elettronica o magari in teleconferenza tra stanze vicine, sinanche a non usare più l'italiano nelle riunioni aziendali, perché parlare la lingua del padrone forte di turno fa sembrare, appunto, innovativi ed al passo con i tempi, dimentichi che i loro padri ed i loro nonni hanno fatto forse i primi affari all'osteria, discutendo animatamente, quasi sicuramente in dialetto, dinanzi ad un bicchiere di buon vino e ad un buon piatto di risotto. E sono loro che hanno fatto il "Miracolo italiano"... Altro che inglese, Harvard o bocconi; computer, tablet o smartphone: utilissimi, per carità, ma come un buon condimento se c'è qualcosa su cui metterlo: diversamente serve a nulla.
Innovazione sì, dunque, purché nel solco della tradizione. Tornare sui proprî passi non è sempre un fatto negativo. Una stretta di mano od una pacca sulla spalla valgono spesso più di fiumi di "e-mail", così come quattro sane chiacchiere ed un boccone in trattoria valgono più di tanti "-ing" e di tante "-ention", dove a parlare è il solito imbonitore che ci sa fare, si conosce nessuno o quasi perché c'è un sacco di gente, ed a spuntarla è sempre il solito gruppetto di rampanti ben ammanigliati.
Non è la piccola e media azienda, zoccolo duro e fiore all'occhiello dell'economia italiana, a doversi considerare superata a favore delle megaburocrazie industriali divoratrici di tutto dal nome straniero e roboante, con i loro "managers", "executives" "promoters" e quant'altri. Essa è invece la diretta eredità della famiglia, che, nonostante tutto, costituisce tutt'oggi una componente identitaria rappresentativa della Nazione. Bisogna piuttosto insistere sul formare un maggiore spirito di squadra tra piccole e medie aziende, chiamate a fare rete, e dove allora il digitale farebbe sì la differenza: e sarebbe vera innovazione. (G.L. Ugo)
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