RIPENSARE IL LAVORO PER IL FUTURO DELLA NAZIONE


  Se, parlando dell'Italia, quella che rinasce dalle rovine della guerra è il paese della ricostruzione e del "Miracolo economico", appare egualmente sempre più all'orizzonte quella dei megauffici e delle periferie metropolitane forriere di disagi, precorritrice della propria decadenza morale e civile che esploderà ad iniziare dagli anni '70, contestualmente al progressivo venir meno del ruolo tradizionale della famiglia a favore di strutture pubbliche di fatto impreparate a surrogarne o almeno ad integrarne l'operato.
L'esodo massiccio dai campi vede i più approdare nelle anonime periferie delle grandi metropoli industriali, prive di identità e nelle quali solitudine e scontento non tarderanno ad esporre soprattutto le giovani generazioni agli effetti nefasti di mode e ideologie. Campagna e bottega lasciano sempre più il posto a fabbrica e ufficio, mentre il pendolarismo, sempre più frequente, sottrae ulteriore tempo all'intimità del focolare. Si sta fuori sino a tardi perché entrambi i coniugi lavorano, mentre, sempre più soli, Ifigli vanno, giocoforza, a scuola a tempo pieno, poi vanno a questo e a quel corso, a seconda che debbano diventare dei genî o dei campioni, e i loro coetanei del vicinato nemmeno li conoscono. A cena non si ha voglia di parlare perché si è tutti stanchi e magari anche tesi, e si lascia che parli la TV. Poi tutti a letto e domani si ricomincia. Non si conosce più il luogo in cui si abita né quello in cui si lavora, poiché dal primo si parte la mattina per tornarvi a volte soltanto a dormire, e nel secondo si sta per lo più rintanati in ufficio e, a fine turno, bisogna correre per non perdere il treno, o cos'altro, per tornare snervati a casa, penalizzando affetti familiari e vita di relazione.
  Accade allora che nell'Italia del posto sicuro ad ogni costo qualcuno si domanda se mai sia il caso di riconcepire il lavoro, a cominciare da quello d'ufficio, conferendo a quest'ultimo una funzione educatrice oltre e prima ancora che di semplice occupazione, mediante nuove proposte di crescita professionale e di grado del personale impiegato mediante iniziative di riqualificazione accompagnate da materiale formativo di facile fruizione e soprattutto di facile ed immediata comprensione, obbligando gli interessati a coltivare ed incrementare sistematicamente le proprie conoscenze e capacità lavorative e, assoggettando le stesse a periodiche verifiche di idoneità a proseguire la carriera o, diversamente, e col dovuto appoggio psicologico e magari anche economico, ad intraprendere un qualsiasi altro lavoro anche autonomo, non esclusovi quello nobilissimo della terra, quale riscoperta del rapporto con la natura e l'intimità del focolare.
  Infatti, se, come da più parti si dice, il lavoro in seno a grandi strutture, pubbliche o private che siano, è causa di un progressivo appiattimento mentale ed impigrimento relazionale, esso andrebbe gestito anche in base a precisi criterî temporali di permanenza presso un determinato ente o struttura di esso, il tutto sia in vista di un più ampio orizzonte relazionale che per porre il (o la) dipendente al riparo dal prolungarsi di eventuali relazioni che risultino a lungo andare sconvenienti. Si tratta di trovare un modo per conferire anche al lavoro impiegatizio una funzione più umana emaggiormente formativa, foriera di crescita non solo professionale ma anche civile e relazionale della persona altrimenti indotta a fossilizzarsi progressivamente in azioni spesso ripetitive illusa di ritornare se stessa una volta uscita dall'ufficio, mascherando dietro a "hobbies" e quant'altri passatempi, più o meno azzeccati, un'insoddisfazione perenne e fattiva priva di stimoli e di motivazioni concrete. Sarà la nostra vera Rivoluzione.  (G.L. Ugo)


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