Allergia ai libri?
QUEST'ITALIA CHE LEGGE POCO
La risposta in mezzo secolo di vita italiana


In un interessante rapporto presentato dalla Presidenza del Consiglio si sostiene che: «La causa prima e più profonda della crisi è da ricercarsi nella scarsa propensione degli italiani alla lettura». La lettura, si ricorda, è la forma di consumo culturale attivo che più di ogni altra favorisce lo sviluppo della coscienza civile e della partecipazione consapevole dei cittadini alla vita politica, economica e sociale del paese. I bassi indici di lettura sono perciò un fatto preoccupante che deve indurre a interrogarsi sulle loro cause non solo gli editori e gli operatori del settore (giornalisti, edicolanti, stampatori), ma l'intera classe dirigente italiana.
  Scriveva così qualche anno fa Diego Novelli, a suo tempo sindaco di Torino, sul settimanale "AVVENIMENTI". Nulla da eccepire, senonché, caduto il fascismo e, soprattutto, dopo il sessantotto, la produzione libraria in Italia è stata un continuo piagnisteo sopra ogni sorta di argomento che potesse portare acqua al mulino dell'ideologia dominante includendone la variante cattoborghese.
  Antifascismo, leggi razziali e quant'altro, hanno riempito per decennî gli scaffali di librerie e biblioteche. Si è doverosamente scritto delle Fosse Ardeatine o di Marzabotto, ma guai, sino a poco tempo fa, a far cenno a chi scriveva delle Foibe in Istria; si è fatto un gran parlare degli errori italiani in Libia, ma guai a chi volesse ricordare quanti Ebrei si salvarono durante l'ultimo conflitto mondiale in Francia e soprattutto in Jugoslavia grazie, paradossalmente, all'entrata in guerra nell'Asse dell'Italia, il cui esercito riuscì a sottrarli a ben altri destini cui quelli sarebbero andati incontro se in campo vi fosse stata solo la Germania.
  Caduto il comunismo, adesso c'è l'Europa, e, se prima si era schiavi delle colpe del fascismo, mentre la televisione ed il mito consumista completavano il lavoro di allontanamento dalla propria cultura e dalle tradizioni, adesso c'è l'ossessione di Maastricht e dell'euro: quello che non deve mai risorgere è la coscienza nazionale degli Italiani.
  Ciononostante, dopo un cinquantennio di attività libraria pressoché a senso unico, ci si scandalizza perché in Italia si legge meno degli altri. La scuola non fa certo di meglio. Sempre meno propensa ad istruire, essa preferisce all'istruzione il mero addestramento, mediante il quale essa si appresta a creare sempre più delle sorte di androidi tutti intrisi di formule e di termini che dovranno farne dei provetti "manager" o dei giocatori di borsa, divoratori di volumi e volumi pieni di nozioni e di teoremi dispensati dal guru di turno per chi crede di divenire con ciò un personaggio di successo, convinto di aver raggiunto la tanto decantata competitività con le realtà più evolute. Certo all'estero si legge di più, è vero, ma anche perché si sarebbe più soli, si comunicherebbe poco e la lettura spesso rimedierebbe ad una scarsa vita di relazione, prima ancora di essere uno strumento per mettere ordine in seno alle idee che il contatto con la gente aiuta a formarci. E mentre dobbiamo iniziare a capire se dalla lettura vogliamo uno strumento per crescere o semplicemente uno scudo per essere lasciati in pace, resta il fatto che una buona e sana conversazione, nata magari nello scomparto di un treno, spesso può offrire l'occasione di apprendere, attraverso le testimonianze e le esperienze vissute in prima persona dal nostro interlocutore, molto di ciò che la tirannia culturale di una classe intellettuale prepotente e boriosa di dominare il pensiero della gente in nome di una presunta detenzione della verità, non è stata capace in tutto questo tempo di comunicare. (G.L. Ugo)


Indietro