Vietato guardare ad Est
LE REALI "COLPE" DEL CAVALIERE
Meno male che Ruby c'è


E non solo Ruby, ma tutto quanto ha portato Silvio Berlusconi al banco degli imputati: vale a dire che le debolezze del Cavaliere, spesso causa di implicazioni giudiziarie anche serie, sarebbero, a detta di taluni, il punto di partenza ideale per dare addosso a chi ha "colpe", (si fa per dire" ben maggiori che il farsela con Ruby od altre pulzelle di simil fatta.
  Vero è che, al suo annuncio di candidarsi per le elezioni del 2001 (poi vinte) il "Cavaliere" aveva messo in fibrillazione l'Europa che conta, che vi vedeva un pericoloso populista e lo paragonava a Jörg Heider, il governatore della Carinzia allora in auge. Ma il vero spauracchio per gli Occidentali sarebbero invece le migliaia di piccole e medie industrie che dell'Italia costituiscono la vera forza economica, e le cui istanze sono da sempre al centro delle campagne elettorali del Cavaliere.
  Cominciamo infatti col ribadire quanto già scritto in altre pagine, ossia che mentre sono le grandi realtà a caratterizzare in modo pregnante l'economia industriale dell'Europa occidentale, così non è in Italia, dove, fatta pur salva l'esistenza di alcune importanti realtà macroindustriali (per esempio la FIAT), sono le miriadi di piccole e medie industrie a portare spesso l'eccellenza italiana nel mondo. La cosa può sembrare paradossale agli occhî dell'italiano profano, convinto che il grande è sempre vincente e il piccolo è sempre il perdente, complice l'atavico complesso di inferiorità tipico di certa classe media italiana. Basterà un semplice ragionamento per capire che le cose non stanno proprio così, e gli Occidentali lo avrebbero capito sin troppo bene.
  I grandi complessi industriali hanno maggiore forza, ma devono egualmente fare i conti con un apparato più complesso, che li obbliga a seguire una serie ben determinata di procedure (assemblee, convocazioni, ecc.) con relativa tempistica nell'assumere decisioni o strategie operative di rilievo. Così non è per le piccole industrie, la cui struttura meno complessa consente un adeguamento più rapido alle diverse situazioni contingenti. Se poi si tratta di un'impresa di famiglia, cosa tutt'altro che rara in Italia, allora il tutto si decide addirittura a tavola. Oltretutto, i piccoli e medî imprenditori italiani sono sì piccoli, ma sono talmente tanti da riuscire difficile dar loro addosso in modo massiccio se in aiuto non intervengono fattori quali burocrazia e normative dalla complessità sempre più vessatoria. Nel frattempo, complice la mutata situazione politica, migliaia di imprenditori italiani si sono insediati in Europa orientale, ove hanno messo su fabbrica e a volte anche famiglia. Integrandosi in tal modo col tessuto sociale locale, hanno dato ad esso modo di entrare in contatto e di familiarizzare con la lingua e un certo stile italiano. Ciò non poteva essere digerito dall'Europa che contava, massima dalla Germania, che ad est della vecchia Cortina di Ferro sognava di fondare il proprio "IV REich" economico e non poteva certo accettare che i piccoli imprenditori italiani osassero sfidare la potente macchina di penetrazione tedesca. Di qui si spiegherebbe l'ipotesi, secondo taluni, di forti pressioni condotte da Berlino in sede europea per porre a suo tempo un freno all'ascesa economica italiana, e v'è chi vorrebbe quale interlocutore privilegiato in tutta la faccenda niente meno che Romano Prodi, a suo tempo presidente della Commissione Europea nonché rivale per eccellenza del Cavaliere e perciò sufficientemente affidabile nel far valere in Italia le istanze di Bruxelles, a cominciare dall'entrata dell'Italia nell'Euro (e sappiamo con quali conseguenze). Al resto ci ha pensato la pressione fiscale che, oltre a ricadere sui ceti medî e su quelli meno abienti, si accanisce proprio sulla piccola e media impresa, costretta a chiudere o a svendersi all'acquirente quasi sempre straniero.
  A "Broccolandia" non poteva quindi arridere maggiormente la sorte che nel avere un nemico tanto ingenuo quanto incauto nel cedere troppo spesso ai piaceri galanti, così da screditarsi ben presto in Patria per la goduria dei nemici suoi e di quelli della stessa Nazione. Lo stesso dicasi per le sue relazioni con Putin. Sempre che quanto poc'anzi risponda a verità, potrebbe venire egualmente da pensare che il torto del "Berlusca" non siano tanto la sua amicizia ed i suoi affari con un personaggio cui si vorrebbero attribuite pesanti responsabilità nella politica russa, bensì quello di aver persistito nel guardare ad Est, direzione verso la quale l'Italia ha sempre guardato anche in epoca preunitaria, in quanto quello è da sempre uno degli spazî naturali delle relazioni italiane. Del resto il Cavaliere stesso aveva osato, in un suo discorso, parlare anche della Mitteleuropa come di un assunto da far rientrare nell'interesse della politica italiana, il che sembrerebbe non volersi accettare da parte di chi, per meglio fare il proprio gioco, ha comodo mantenere viva una visione negativa e stereotipata dell'Italia e pare non aspettare se non che le sue istituzioni compiano l'ennesimo passo falso e che vi sia chi se ne va a lamentare a Bruxelles, all'Aia o a Strasburgo. L'importante è che l'Italietta non si sogni di alzare la testa, continui a fare bene la cameriera, faccia bene da mangiare e ai targati "Broccolandia" e dintorni lasci fare tutto quello che non potrebbero fare a casa propria, il tutto con licenza a quelli di andare poi in giro a dire che in Italia non c'è disciplina, non c'è controllo o quant'altro. A garantire tutto sarà la solita pletora di burocrati pronti a fare ponti d'oro al potente di turno e ad eseguirne gli ordini con nordica precisione, salvo a non profondere la medesima dedizione nell'assecondare gli interessi degli Italiani: quello che importa è che paghino le tasse... (G.L. Ugo)


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