Al capezzale del mito
POVERO VECCHIO NORD!
Ma Roma c'entra sì e no
Si pensa sempre a Roma come alla causa di tutti i mali che affliggono il Nord-Italia, attribuendo nel contempo al Sud ed ai "Terroni" la paternità di tutto
ciò che di negativo promani dall'ordinamento statale del Paese. Lo afferma l'uomo della strada. La storia è un pò diversa, giacché ad unificare territorialmente
l'Italia fu il Piemonte sabaudo, alla cui corte si parlava quasi più francese che italiano.
Come la vicina Francia, alla quale lo legava sotto molti aspetti
il possesso della transalpina e francofona Savoia, il Piemonte, che a modo proprio credeva nell'unità italiana e ne aveva efficaciemente profuso lo slancio, era stato però scarsamente preparato a calarsi mentalmente nelle singole realtà locali del paese
che esso andava unificando. Molti tra i grandi del Risorgimento erano stati coscienti del problema: Garibaldi e Mazzini dovettero ricorrere all'esilio
per noie anche gravi con il governo di Torino. D'altro canto il Piemonte (o, più esattamente, il Regno di Sardegna) era a quel tempo l'unico stato che potesse in qualche modo tentare l'impresa italiana e, malgrado le più o meno forti manchevolezze, ci mettesse un po' di cuore.
Proclamato il Regno d'Italia, la capitale rimase per alcuni anni a Torino e lo Statuto Albertino, che
era stato la carta costituzionale del Regno Sardo a partire da Carlo Alberto, estese i propri effetti sull'intera penisola sino alla caduta della monarchia
in Italia nel giugno 1946. Dunque, nulla di "borbonico", come si suol dire, alla base. Vero è, piuttosto, che il meridione, frettolosamente ed ingiustamente privato delle nascenti o già esistenti attività produttive trasferite al Nord (e non solo In Piemonte, si badi bene) e perciò rimasto privo di quelle esperienze
che permisero alle regioni settentrionali del paese di iniziare un processo di industrializzazione, vide, a lungo andare, la propria gente guardare al
posto sicuro che poteva venire dal settore pubblico come al miglior modo per risolvere i problemi quotidiani dell'occupazione. Ma la scarsa preparazione
che quelle genti acquisivano in materia amministrativa avrebbe reso preferibile che vi fosse stata una burocrazia più semplice e duttile di
quella sabauda, spesso farraginosa e fiscale, sebbene non scevra anche da virtù, e della quale i funzionari meridionali, sempre più numerosi negli uffici pubblici del paese, divennero impreparati
e spesso poco graditi rappresentanti ed esecutori, facendo credere all'opinione pubblica poco curante della storia che i mali della legge italiana venissero
esclusivamente da sud.
Con il Secondo Dopoguerra le regioni del nord divenivano ben presto l'elemento trainante dell'economia del paese, condizionando
di conseguenza con il proprio sistema divita in rapida modernizzazione l'intero modo di essere degli Italiani, e ciò con risultati non sempre positivi.
L'industrializzazione ed un ben'essere forse un pò gonfiato e repentino innescavano, durante e dopo gli anni del "Miracolo economico" un processo di appiattimento
nella cultura e nella personalità del cittadino medio, sempre più massificato. Milano e dintorni si facevano rapidamente centro di irradiazione di nuove
mode, di nuovi linguaggi, atti a ridurre in breve tempo le giovani generazioni specie nelle grandi realtà metropolitane a masnade di semianalfabeti facilmente
indottrinabili dal primo "capo-branco" che ci sapesse fare. Nascevano allora i grandi movimenti giovanili di massa, sia laici che ecclesiali: veri eserciti
di inquadrati, che, con il loro populismo latinoamericano alternato ad un modernismo tutto anglicismi e pacifismo in blue-jeans, snobbavano come sorpassato
tutto ciò che avesse troppo del nostrano, coinvolgendo rapidamente con la propria azione maree di coetanei in tutta Italia.
Roso al proprio interno dai
problemi di sempre che aumentavano il suo divario con il Nord, il Sud non era in grado di reagire e controbilanciare tutto ciò, mentre la sua gente emigrava
in massa verso le grandi periferie industriali per finire inghiottita dalla cultura suburbana fatta, semmai, di benessere materiale e disadattamento umano.
Il centro, ricco di risorse economiche e culturali, era stato, malgrado tutto, indotto dagli eventi ad operare spesso in sordina. Tuttavia la sua minore
permeabilità da parte della cultura consumista, dovuta alla salda consapevolezza del proprio passato, faceva sì che le regioni centrali italiane rimanessero
lungo tutto il Secondo dopoguerra la parte più sana del paese e più ricca di speranze per esso.
Questa è più o meno l'Italia dal "Miracolo" alla
caduta del Muro di Berlino, fatalisticamente rassegnata alla logica di Jalta, e che i fatti dell''89 trovano avvolta in un torpore, che sembra essere l'ovvio
séguito alla conclusione di un quarantennio di frustrazioni più o meno palesi. Il nord industriale séguita polemizzando sulla non competitività di tutto
ciò che è italiano verso ciò che è straniero (occidentale) e non si rende conto di avere in se stesso la causa di quest'inferiorità. Si è visto cosa sono
stati spesso i grandi complessi industriali di Piemonte, Liguria e Lombardia: carrozzoni macroscopici, veri centri di potere fortemente monopolistici e
burocratizzati al proprio interno, così simili a quella Roma statalista e burocratica vituperata da leghisti e quant'altri quale unica colpevole, assieme
ai Terroni, di tutti i mali dell'Italia padana. Ma che cosa facessero i deputati settentrionali quando a Roma si deliberava ciò che ora le si viene contestando
nessuno osa chiederselo. Respiravano anch'essi l'aria dell'Urbe e ne assaporavano le poltrone, usufruendo come gli altri dei medesimi privilegi di cui, a partire soprattutto dagli anni '70, erano venuti sempre più a godere i benemeriti onorevoli della politica italiana. A tutti però secca vedersi specchiati con i propri difetti. è un pò
la storia di quella bertuccia che, vistasi brutta allo specchio se la pigliò con esso e lo ruppe in mille pezzi, in ciascuno dei quali però essa continuò
a vedersi per intero e brutta come prima. Così si fa nel Nord del Dopo-Jalta, contro Roma ed il vecchio sistema, ma nello sfaldare il quale affiorano moltiplicate
le pecche che le inchieste giudiziarie, a partire da "Tangentopoli", hanno fatto continuamente emergere, a cominciare proprio da Milano per finire poi
anche più in giù. E così, certa di trovare sempre qualche terrone da ergere a capro espiatorio sull'altare delle proprie frustrazioni, la Valle Padana
assiste, tra l'attonita e l'inconsapevole, alla propria agonia soprattutto spirituale. (G.L. Ugo)
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