Quel plurale che fatica!
SULLE ORME DEL FOSCOLO
Spira con gli euri il desiderio di classicità


  Quando l'euro iniziò a divenire una realtà concreta, oltre alle domande di carattere economico, sorsero alcuni interrogativi sulla sua collocazione nell'ambito della grammatica italiana.
  Alla domanda se al plurale "euro doveva rimanere iinvariato o doveva fare "euri" rispondeva di fatto la Gazzetta Ufficiale del 27/09/2001. Nelle 14 pagine di decreti del Ministero per l'Economia riguardanti l'euro, si usava per esso il plurale in "i" (10.000 euri, 20.000 euri, ecc.)...
In linea con la G.U. si schierava il prof. Giovanni Nencioni, presidente a suo tempo dell'Accademia della Crusca, da sempre tutrice in primis della purezza della lingua italiana, nonostante che, nell'apposita riunione di Madrid, si fosse optato per l'invariabilità e indeclinabilità del sostantivo nelle diverse lingue, per ovviare, si disse, a possibili problemi di comunicazione. In realtà tali problemi sono pressoché inesistenti, dal momento che per l'identificazione contabile della divisa in sede internazionale è stata preventivamente adottata la sigla EUR, oltre al noto simbolo "€".
  Piuttosto, quando si decise di chiamare "euro" la nuova valuta si credette probabilmente di aver coniato un vocabolo del tutto nuovo, per cui non sarebbero dovute sorgere questioni sulla sua collocazione grammaticale, ignari che "euro" (latino eurus) è invece l'antico nome col quale si definiva il vento di scirocco, quantomai simbolo della più schietta mediterraneità, cantato persino dal Foscolo e con tanto di plurale. Nell'ode "All'amica risanata" leggiamo infatti: [corsivo]... e l'isole Che col selvoso dorso Rompono agli euri e al grande Ionio il corso.[/corsivo] E ancora, nella bozza preliminare delle "Grazie": ... [corsivo]di quel golfo; or dove Sotto i monti veleggiano le navi, Solitaria pendea negra una selva Agitata dagli Euri.[/corsivo]
  V'è persino chi ha avuto l'arguta idea di soprannominare "scirocco" (plurale "scirocchi") la stessa valuta, il tutto a prova che quei genî dell'europeismo contabile si sono imbattuti in un simbolo ben precedente ai loro teoremi, e che si vorrebbe perciò rispettato anche sul piano grammaticale.
  Ad assecondare la tesi occidentale era invece il prof. Francesco Sabatini, succeduto al prof. Nencioni alla presidenza dell'Accademia della Crusca, il quale asseriva che il nome "euro" doveva rimanere invariato al plurale, un po' come accade per sostantivi quali "video", "moto" o "radio". Bisogna tuttavia precisare che questi ultimi sono la forma abbreviata (ormai consolidatasi nel linguaggio scritto sebbene non formale) di sostantivi regolarmente collocati grammaticalmente. Infatti "video" starebbe per "videoschermo" o "videofilmato", "moto" sta per "motocicletta", e "radio" per "radiodiffusione", "radiofonia", "radioemittente", od altro. In tal caso "euro" avrebbe dovuto intendersi come la parte iniziale, nonché forma abbreviata, di una denominazione ufficiale quale poteva essere, per esempio, euroscudo, eurotallero, od altro. Non essendovi invece tale intento nella denominazione della nuova moneta, la sua omonimia, voluta o no, con un simbolo del mondo classico, conferisce ad essa un forte valore rappresentativo in primo luogo per quelle nazioni che della cultura classica sono dirette eredi. Ne deriva perciò l'opportunità di un'adeguata collocazione grammaticale che, nel caso dell'italiano preveda per l'euro la regolare forma plurale in "i", a difesa di un simbolo seppur modesto delle proprie radici contro la logica di chi vorrebbe appiattire patrie, popoli, lingue e culture dinanzi alla ragion dei numeri. (G.L. Ugo)


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