PROLETARÎ DI TUTTO IL MONDO INTRAPRENDETE


  Tanto o poco sia il tempo trascorso da quando la bandiera dell'URSS veniva definitivamente ammainata, è vivo nei più il ricordo di quando il motto "Proletarî di tutti i paesi unitevi" campeggiava sulla prima pagina della PRAVDA, a testimoniare la centralità del proletariato nell'ideologia comunista, sinanche a paventarne la dittatura quale epilogo ideale nel cammino dell'umanità, ignorando, o volendo ignorare, l'enorme differenza tra il diritto degli operaî a crescere socialmente come persone e l'utopia bieca di porre a modello di sviluppo di una società una classe come quella proletaria, nata con la rivoluzione industriale ed incarnantene in sé frustrazioni e disagi.
  La crescente industrializzazione vede il progressivo sradicamento di contadini che, richiamati dalla prospettiva di un maggiore benessere, lasciano le campagne per annidarsi, per lo più, nelle periferie urbane, spesso incapaci di offrire ai nuovi arrivati nuovi modelli di socializzazione in sintonia con il loro retroterra culturale. La fabbrica, con i suoi ritmi di lavoro pesanti e ripetitivi, spesso induce i lavoratori a divenire preda e strumento ottimali del sindacalismo ideologico, che li pone in lotta contro il datore di lavoro e accetta di malavoglia situazioni di concordia e collaborazione tra le parti, come quando, divenuti gli operai di alcune medie industrie italiane azionisti delle stesse, suscitarono la preoccupazione dei sindacati che, lungi dal apprezzare ciò quale segno di benessere e di crescita dei lavoratori, ne temevano l'uscita dalle liste degli iscritti alle rispettive organizzazioni sindacali, ormai proiettati a lavorare con tutt'altra motivazione.
  Ne deriva perciò che, unito al compito di tutelare i diritti di chi presta la propria opera in fabbrica, vi è in certo mondo sindacale una sorta di tacito intento a mantenere l'operaio in una permanente e facilmente strumentalizzabile posizione di proletario, non volendocisi rendere conto che proprio da qui sono nati e nascono tutt'ora i maggiori problemi della società moderna. Sradicato per lo più dalla campagna e catapultato in uno dei tanti ghetti submetropolitani, il proletario rimane avulso sia dalle incombenze e dai ritmi della vita rurale che dai fermenti innovativi di crescita della vita cittadina. Tutto questo lo rende privo di un'identità positiva. Relazioni ed affetti familiari sono costantemente condizionati dalle frustrazioni della vita lavorativa, e da qui allo sfruttamento ideologico il passo è breve.
  Delle migliaia di meridionali che, nell'Italia del Secondo Dopoguerra, andarono a popolare le grandi periferie del Nord industriale, ad incarnare maggiormente i problemi di integrazione nel nuovo ambiente sociale erano proprio gli operai delle grandi fabbriche. Non si può dire altrettanto per il barbiere, il ciabattino o il tabaccaio, favoriti dalla propria stessa condizione di lavoratori autonomi, in grado di interloquire con la nuova realtà mediante il rapporto costante con la gente locale, che in essi vede sempre meno dei "terroni", epiteto che finisce col riversarsi sui loro conterranei meno fortunati, penalizzati nelle opportunità di socializzazione dalla vita di fabbrica, cui si aggiunge il non meno massificante fattore ideologico. Taluni disagi tipici del proletariato sembrano di volta in volta affiorare anche nel pubblico impiego, ossia in quelle fascie in cui meno si proietta la creatività della persona attraverso il lavoro, mentre il lavoro autonomo, espressione economica della persona e, dov'essa c'è, dell'anima stessa della famiglia, offre all'individuo, quand'anche non originario della zona, modo e tempo per porsi in maniera positiva nei riguardi della realtà in cui si appresta a porre le proprie radici.
  Analogo, se non esattamente identico, è il caso degli stranieri, in cui il fattore etnico spesso va ad evidenziare disagi che sono proprî di una classe sociale (nel nostro caso il proletariato e il sottoproletariato) prima ancora che di un popolo. Si noti per altro come, specie nelle regioni centrali d'Italia, in cui artigianato e piccola impresa hanno un ruolo pregnante e dove il lavoro dipendente spesso è vissuto come una fase transitoria in vista di un assetto lavorativo autonomo, è altrettanto meno pregnante il disagio sociale tipico delle realtà industriali del Nord e del Sud della Penisola.
  L'automazione dei processi un tempo demandati alla catena di montaggio, lungi dal ridurre le prospettive di occupazione, avrebbe la funzione precipua di "sproletarizzare" gradualmente la classe lavoratrice mediante una sua progressiva professionalizzazione in senso specialistico, stimolando il singolo individuo a cercare nuove vie di realizzazione anche fuori dalla fabbrica e dalla sfera stessa del lavoro dipendente, per fare della propria esperienza lavorativa il capitale iniziale di una nuova realtà di impresa attraverso la quale testimoniare valori che, soprattutto in Italia, da sempre fanno dell'attività artigianale e microimprenditoriale il volto economico ideale della famiglia e delle relazioni umane in genere.  (G.L. Ugo)


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