La "razza unica globale"
MA GLI ITALIANI SONO DAVVERO XENOFOBI?
La causa tra conscio ed inconscio


Può sembrare fuori luogo parlare di xenofobia in un paese da sempre noto per una radicata cultura dell'accoglienza.
  Posta infatti al centro del Mediterraneo, all'incontro tra tre grandi aree continentali quali Europa, Nord-Africa e vicino Oriente, l'Italia è da sempre crocevia privilegiato di razze e culture che ne hanno forgiato nei secoli il carattere, l'arte, come pure la cucina e talvolta le stesse parlate locali.
  Dice in proposito Michelangelo Pistoletto, scultore e pittore a cavallo tra secondo e terzo millennio:
  "L'Italia è l'esempio della convivenza di differenti culture, è l'espressione della fantasia, dell'originalità, della singolarità, della molteplicità, dunque è l'emblema della costante diversificazione. Il prodotto italiano può perciò rappresentare la vera alternativa alla standardizzazione monoculturale che si propaga globalmente."
  Scriveva poi un anonimo: “L’Italia non è mai stata una razza o un’espressione geografica”. L’Italia è un’idea e un modo di concepire il mondo: l’Italia è universale.”
  Del resto il ruolo stesso di Roma, già capitale di un grande impero ed ora fulcro della cattolicità, conferisce all'intero paese un indubbio carisma di universalità e perciò di sostanziale predisposizione a rapportarsi con culture e popoli diversi. Del resto, tanto per citare un esempio, a Venezia esistevano tra gli altri un "fondaco" dei Tedeschi come pure quello dei Turchi, quest'ultimo nonostante Lepanto 1571. gli affari sono affari, si sa, tanto che anch'essi possono a volte aiutare popoli inizialmente ostili a trovare un punto di incontro.
  Forse il germe della xenofobia in Italia, e non solo, va cercato altrove, in fattori di più recente insorgenza rispetto a quelli più storicamente noti. In passato gente di cultura, d'armi e d'affari ha trovato lungo i secoli nella Penisola l'approdo dal quale iniziare una nuova vita in armonia con la nuova realtà in cui venivano a trovarsi. Diremo, in un certo senso, che si trattava di un'immigrazione in grado di autoregolarsi, senza quindi impatti traumatici per la popolazione locale. Oggi non sembra essere più così. La dirompenza del pensiero unico globale sia nel suo aspetto culturale che economico, non può che agire negativamente anche attraverso i fenomeni migratorî di massa, nei quali la gente finisce col non vedervi certamente un'occasione di reciproca conoscenza, bensì una minaccia alla propria identità e cultura ad opera di soggetti tecnologicamente emancipati e fors'anche per questo convinti di bastare a se stessi e di non dover cercare più di tanto un dialogo con la realtà ospitante, paghi quasi della propria stessa marginalità nonché certi di trovare appoggio nei teoremi mondialisti avversi a qualsiasi rivendicazione nazionalidentitaria. Spesso si tratta poi di ex-coloni di quello stesso mondo capitalista della cui azione essi sono più o meno consapevoli operatori a cominciare dalla lingua nella quale sogliono per lo più rivolgersi. E per quanto l'Italia sia pervasa da un cronico complesso di autodisistima e dal perenne timore di eccedere di patriottismo e di dispiacere in tal modo a quei paesi verso i quali essa si ostina a sentirsi perennemente in debito, v'è chi avverte il bisogno di opporsi cercando il modo per uscire da un tale circolo vizioso non certo forriero di benefici per il Paese. Accogliere non è soltanto ospitare: vuol dire anche far sentire parte della propria stessa realtà, profondendo quella cultura della socialità che tanto caratterizza nel mondo lo stile italiano, e che l'appiattimento culturale odierno non contribuisce certo a favorire. Non riempiamo l'Italia di nuovi emarginati, come forse s'è fatto nel tanto blasonato mondo occidentale, con le conseguenze a tutti note. Sarà un primo passo verso un'autentica accoglienza. (G.L. Ugo)


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