RICORDARE NON BASTA SE DAL RICORDO NON NASCE FUTURO

  Organizzato dalla Lega Nazionale di Trieste, ha avuto luogo lo scorso 26 settembre a Ravenna un interessante convegno su Dante e l'Irredentismo, presenti numerosi relatori tra i quali il presidente della stessa Lega, Paolo Sardos Albertini.
  Al termine del convegno ha avuto luogo presso il mausoleo di Dante una cerimonia culminata con la riaccensione dell'ampolla donata dalla Lega stessa nel 1908 a testimonianza dell'identità italiana delle genti giuliane allora facenti parte dell'impero absburgico.
  Non v'è stato invece alcun richiamo alla situazione attuale, cosa che avrebbe dovuto dare all'evento ravennate la massima risonanza, visto il "genocidio" linguistico-identitario che si prospetterebbe per le genti d'Italia, indotte sempre più a sacrificare secoli (per non dire millennî) di storia e di civiltà sull'altare delpensiero unico globale, il che fa non più solo di Trento e Trieste ma dell'Italia intera una terra irredenta.
  Ma per far fronte a ciò civorrebbe il fervore dei tempi passati, quando prendersela con Cecco Beppe faceva tendenza, cosa che non sembra quando dall'altra parte della barricata vi sono il mondialismo e l'economia pura.
  Fare accademia non basta: lingua ed identità vanno difese sullo scacchiere politico, e la voglia di mettersi in gioco ha tutta l'aria di scarseggiare: meglio ritrovarsi ogni tanto tra vecchî sodali della cultura, dire quattro cose e ricordare il tempo che fu, anziché scendere nell'agone.
  E a proposito di Dante, l'anno prossimo ne ricorre il 750º genetliaco, un fatto sul quale chi di competenza dovrebbe calcare fortemente la mano; e invece... nulla di tutto ciò: letargo completo, mentre altrove si fa a gara nel rifuggire l'idioma del Sommo Poeta. Per esempio:
  Scrive "Redattore Sociale" del 05-10-2014, parlando di Martina Caironi, atleta disabile:
  L'atleta si è esibita nella corsa su pista in via della Conciliazione, trasformata oggi in una grande palestra dal Cip per l'evento "Believe to be alive".
  Altrove si parla di Italian Paralympic Award, manco fossimo a Hollywood... E a curare poi le tartarughe marine a Lampedusa v'è il Lampedusa Turtle Group, quasi che la lingua dell'Alighieri sia indegna di esprimere l'attenzione per quei rettili...
  Fortunatamente apprendiamo nel frattempo che l'Accademia della Crusca, la massima autorità di tutela della lingua italiana, ha espresso parere negativo circa l'introduzione del così detto CLIL (Content and Language Integrated Learning), vale a dire l’insegnamento in una lingua straniera – di fatto l’inglese – di una materia non linguistica (due nei licei linguistici) a partire dall'anno accademico in corso nelle quinte classi dei licei e degli istituti tecnici, come previsto dalla riforma Gelmini.
  A prendere posizione in prima persona è stato il presidente stesso dell'Accademia, Claudio Marazzini, ampiamente ripreso da Paolo Di Stefano nel supplemento domenicale ‘La lettura’ del Corriere della Sera (5 ottobre), il quale sostiene che “Indebolire l’insegnamento disciplinare, lasciando credere che così si impara l’inglese ‘passaporto per il mondo’ è un errore grave che rischia di compromettere la competenza solida nei contenuti, quella che ha permesso tutto sommato in questi anni la cosiddetta ‘fuga o esportazione dei cervelli’. Se quei cervelli hanno trovato ospitalità altrove, non è per i loro meriti nella conoscenza dell’inglese, ma semmai per la capacità dimostrata nelle varie discipline che professavano”.
  Scrive a proposito Tuttoscuola del 6.10.2014:
  Ci sembra che lo studioso abbia qualche ragione: quali vantaggi ci sarebbero nell’insegnare e apprendere materie come storia dell’arte o filosofia o per assurdo lo stesso italiano in inglese? Caso mai andrebbe rafforzata la lingua nazionale, anzi ‘ufficiale’ del nostro Paese, l’italiano. Numerosi studi dimostrano che il saldo possesso della lingua materna condiziona anche la qualità dell’apprendimento delle altre discipline, comprese quelle scientifiche e le stesse lingue straniere.
  Intanto, come misura d’urgenza, si potrebbe restringere il CLIL a un numero ben definito di materie tecniche dove l’uso dell’inglese è dominante a livello internazionale. Sempre che il relativo docente padroneggi l’inglese – se non perfettamente come sarebbe doveroso – almeno un po’ più dei suoi alunni"

  Vero è infatti che, se non si interviene in tempo e in fretta, tra non molto i nostri figli e nipoti ci faranno sentire esuli in patria e si sentiranno legittimati a guardare a noi ed alla nostra bella lingua come ad un idioma da vecchie cariatidi ormai superate, pregni di un malinteso concetto di modernità.
  Parlare dunque di identità nazionale non è semplice retorica, riguarda bensì l'intero nostro vivere quotidiano, non ultima la stessa vita affettiva.
  Vogliamo gettareproprio tutto alle ortiche? - (G.L. Ugo)


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