PIÙ ITALIANO E PIÙ CULTURA PER TORNARE A COMPETERE?
Nella puntata dell'8 novembre 2013 di "Virus", il programma televisivo di approfondimento condotto da Nicola Porro e in onda su RAI-2, il politologo Eduard Luttwak notava come dalla fine del II Conflitto Mondiale agli anni '70, una classe politica da molti definita come provinciale e di cui si stigmatizzava il fatto che non parlava inglese, aveva paradossalmente portato l'Italia tra i sette paesi più industrializzati del mondo. Adesso, aggiungiamo noi, che tutti vogliono parlare in inglese perché dicono che così si diventa più "competitivi", l'Italia si trova tutt'al più nel ruolo di una colonia anglosassone da nuovo Terzo Mondo, in cui l'indottrinamento tecnoideologico di massa continua a fabbricare attorno a noi sorte di androidi, privi di quel bagaglio di pensiero, nonché di cultura e di lingua che, negli anni "d'oro", ha impresso alla vita del paese, compreso l'aspetto economico imprenditoriale, quello stile capace di conferire al prodotto italiano quel "non so che" in grado di fare a lungo la vera differenza sulla scena del mercato mondiale. Che sia il caso di ripensarci?
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